martedì 15 marzo 2016

RINUNCIA O DENUNCIA? LE DIMISSIONI DI PAPA RATZINGER

Eletto Papa il 19.4.2005 all'età di 78 anni, J. Ratzinger il 28.2.2013 ha dato le sue dimissioni dopo 8 anni quale rappresentante e guida del cattolicesimo, che fra 7 miliardi di persone annovera un miliardo e duecento milioni di adepti circa, cioè un 17% della popolazione mondiale. La quale, come sappiamo, si ripartisce in 42% di asiatici, (20% indiani e 12 % cinesi…), 25% africani, 8% sudamericani, 6% europei (italiani 0,5%), giapponesi 1%, dell’Oceanica 0,5%. Dimissioni che hanno colto tutti in contropiede perché inattese e come un fulmine a ciel sereno. Immediati i commenti da ogni dove, dai giornali, dalla TV, da internet, per cui preferisco in questo articolo alle diverse opinioni dare una risposta, che sembra la più motivata. Le reazioni dei media e della gente furono le più svariate, da un estremo all'altro. Citiamo senz'ordine: Rivoluzionario, storico, epocale, vittima degli intrighi in Vaticano, caduta del mito papale, della papolatria, dell'aureola sacrale, umanizzato il ruolo del Dio in terra, fine dell'infallibilità, la rivincita contro una chiesa in decomposizione, precedente che metterà in crisi i futuri papi, eroico, coraggioso, tramonto di una monarchia astorica, di una teocrazia medioevale, della papocrazia, degli assolutismi. Insomma giudizi quanto mai disparati. Ma quale sarebbe veramente il carattere dell'uomo Ratzinger? E' un tipo pensatore, riflessivo, teologo, studioso, piuttosto riservato, umile, mite schivo dal protagonismo e dagli onori. Lo si vedeva a disagio paludato in quell' abbigliamento, un pulcino nella stoppa. Immaginarsi poi se avesse dovuto portare in testa il triregno, quella specie di anfora con tre corone sovrapposte a significare padre dei re, rettore del mondo, vicario di Cristo “Rompicapo” dei suoi predecessori. E poi, non si dimentichi, è un carattere tedesco. Coerente e conseguente. Educato in un ambiente cattolico, animato anche da una cultura protestante luterana dove si apprende il rispetto verso il cittadino e l'onestà verso la propria professione. K. Guttenberg, ministro dell'istruzione al governo tedesco, qualche anno fa ha dato le dimissioni perché accertato che da giovane aveva copiato la tesi di laurea. Ve lo potete sognare voi un italiano, sia esso prelato o parlamentare, che dia le dimissioni per corrotto o indecoroso comportamento? Nel lungo testo latino delle dimissioni rimane impresso: "dopo la preghiera con Dio ed esaminate le difficoltà fisiche, psichiche, mentali con il prosieguo dell'età, in coscienza ho deciso di rinunciare al mandato". Il valore che questo Papa credente dà alla coscienza personale. Non dice che lo Spirito Santo gli è apparso in forma di colomba, che la beata Vergine gli fece un'apparizione e gli diede un messaggio. No! Niente di sacrale, di culturale, di divino, di mariano. Solo una riflessione che proviene dalla coscienza, l'ultima istanza di ogni scelta e comportamento umano. E qui viene in mente quanto scrisse in gioventù e divulgò nel concilio ecumenico: "Al di sopra del Papa resta la coscienza di ciascuno che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, anche contro le richieste dell'autorità ecclesiastica". Certo, egli parla di coscienza, non di capriccio, non di arbitrio. Obbedire alla coscienza è obbedire a qualcosa di più grandi di sé, in pratica alla ragione (Paolo ai Romani), a Dio. Proprio come suona la Costituzione "Dignitatis Humanae 3c" del Concilio ecumenico 1965.
                      In questo modo Ratzinger non ha ignorato lo Spirito santo?
 Lo Spirito Santo esiste e tutti i cristiani ci credono, ma non tiriamolo in ballo ad ogni piè sospinto e a nostro uso e consumo. Il Salmo dice: "del tuo Spirito, Signore è pieno l'Universo" (e quindi non solo il Vaticano o la Gerarchia della Chiesa). E Paolo nella 2° lettera ai Corinti "Vi sono diversi doni, ma uno solo è lo Spirito di Dio, secondo i servizi, le attitudini, le scelte professionali". Tutti abbiamo lo Spirito Santo e non solo il Papa. La diversità non sta nel ruolo, ma nella capacità di testimonianza. Dopo le sue dimissioni viene lanciato da ogni dove l'appello a pregare lo Spirito Santo perché scelga bene il nuovo Papa. D'accordo, basta però che gli elettori di turno non si vadano a costruire le solite cordate di amicizie e spartizioni. Come in qualche conclave passato dove vennero messi a digiuno, a pane ed acqua, finché non avessero finito con le risse ed eletto un candidato. Ma Gesù non ha fondato la chiesa su Pietro? (Mt. 16,18). Ora se il Papa si dimette la chiesa resta in balia di nessuno. Il 27 febbraio 2013. Ratzinger disse: "la chiesa non è né mia, né nostra, ma è di Cristo". Il fondamento della Chiesa non è il papa ma Gesù. Pietro non rappresenta se stesso, ma ogni credente, e su ogni credente Gesù fonda la sua chiesa. Dal 1378 al 1415 durante lo scisma d'occidente non vi fu nessun Papa, validamente riconosciuto ed eletto, ma tre Papi in guerra fra di loro. Su chi si fondò la chiesa del tempo? Su Gesù e sugli uomini di buona volontà. Il Papa, fa capire Ratzinger con le sue dimissioni, non è né un Dio in terra, né il Vicario di Cristo, ma il primo impegnato testimone della fede nel Signore.
                                  Come la mettiamo con l’infallibilità del papa?
Ratzinger non ha mai usato questo "dogma" nel suo ministero. Anche nel suo libro "Gesù di Nazareth" scrisse che non voleva fare un'opera magisteriale, ma ognuno era libero di contraddirlo. E storicamente non si dimentichi che il dogma in questione non risale a Gesù Cristo ma al 18 luglio 1870 ad opera di Pio IX. Considerando la pressione politica del tempo e l'ansia per la fine dello Stato Pontificio, molti teologi giudicano questo intervento come "legge ad personam". L'infallibilità è data alla chiesa non in riferimento ad una persona, ma alla comunità in quanto tale, allorché in coscienza ritiene fondata e motivata una dottrina ed una decisione. Le dimissioni di Ratzinger a proposito dicono che il dogma dell'infallibilità cade da solo, basta non usarlo.
                                                    Il marcio della chiesa.
La pesante e quasi irriverente espressione è proprio sua, non di qualche infedele alla moda. Questo marcio egli non lo sopportava proprio più. Si ricordi la predica del Venerdì Santo 2005: "Quanta sporcizia nella chiesa". Parole sue e non dei soliti vaticanisti M. Politi, GLI. Nuzzi, M. Guarino, F. Pinotti, Gc. Galli, definiti anticlericali dai cattolici integralisti di trincea. Ed ancora Ratzinger: ”nel campo del Signore c’è sempre zizzania.” (11.10.12). Ed ancora: "Dio non è strumento di potere" (17.12.12). Ed infine dopo le dimissioni: "Troppa rivalità nel clero" (13.2.13). Non ci sono solo gli scandali della banca vaticana, ma le circolari del segretario del Governatorato Mons. Viganò a denunciare intrighi, malaffare, cupidigie mondane. Il recente furto dei documenti vaticani papali ad opera del cameriere privato Paolino sono quisquiglie. Indubbiamente il fenomeno della pedofilia nella chiesa è stato devastante con polemiche fra l'onorabilità della stessa da tutelare e il diritto dei bambini da rispettare. Di fronte a tale "baraonda" a Ratzinger non restava che ribadire: "denuncio pubblicamente al mondo questi comportamenti e rinuncio a proseguire".
                                            C’è chi lo ritiene un atto di viltà.
Perché ad esempio Papa Wojtyla è rimasto in carica nonostante tutto fino alla morte. Non è sceso dalla croce. Non tiriamo in ballo la morte di Wojtyla: ha reclamizzato, spettacolizzato, enfatizzato, sacralizzato la sua malattia. Gesù in croce vi è salito da solo e non ha imposto a nessuno di salirvi. Sì, ha detto: "chi vuol venire dietro di me prende la sua croce … ", ma intendeva: "si prenda le sue responsabilità". E la responsabilità di Wojtyla avrebbe dovuto essere quella di scendere dal trono e dimettersi per dare alla chiesa una guida più presente. Non è secondo il vangelo fare la mistica del dolore. Diventa narcisismo e masochismo. Inoltre la Legge della Chiesa, Diritto canonico al nr. 401, stabilisce che i Vescovi dopo i 75 anni devono dimettersi. Non rimanere sul baldacchino fino alla morte. Se questo vale per un vescovo che ha una piccola porzione di territorio, tanto più dovrebbe valere per un Papa incaricato urbi et orbi. A questo punto ovvia una domanda: per il futuro sarebbe opportuno un Papa italiano? Forse no. Primo: per motivi di rappresentanza. La maggior parte dei cattolici si trova in Brasile e fuori d'Europa. Il cattolicesimo italiano è al 5-7%. Dobbiamo passare da un cattolicesimo romano ad un cattolicesimo universale. Che dobbiamo imporre a tutti le fettuccine alla romana? Secondo: per un motivo psicologico. Il carattere italiano è troppo machiavellico, furbesco, politichese, manageriale, affarista, clientelare. Un Papa italiano significherebbe un viavai dal Vaticano al Quirinale e Palazzo Chigi, e dal parlamento un corteo di cortigiani, servili politicanti verso il Vaticano. Speriamo di sbagliarci. Comunque la chiesa ha bisogno di aria pulita, colori diversi, cieli e terre nuove. Secondo lo Spirito di Dio.
                                     Quali le riforme prioritarie per il nuovo papa?
Tutte, secondo l'agenda del Cardinal Martini. Siamo indietro di 200 anni e anche Ratzinger non è riuscito a farne una, eccetto quella ”eclatante” del ritorno alla Messa in latino, e spazio ai gruppi conservazione tipo Opus Dei. Sarà difficile fare delle riforme, in quanto i cardinali elettori sono stati tutti fatti ad immagine e somiglianza di Wojtyla-Ratzinger, cioè conservatori. Ma sorprese, come quella di Giovanni XXIII del 1958 potrebbero essere anche possibili. Comunque la prima riforma da farsi sarebbe quella di una nuova legge elettorale per scegliere il Papa. Attualmente gli elettori sono 117, tutti e solo cardinali, tutti e solo maschi, tutti e solo vecchi. Una oligarchia mascolino­geriatrica. Dov'è la rappresentanza della chiesa, dei giovani, delle donne? Desiderabile quindi una struttura con delle rappresentanze sinodali, scelte nelle varie nazioni del mondo. Seconda riforma, l'abbigliamento. Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei. Decoro e dignità, ma lasciamo mondanità, coreografia, abiti imperiali, camauri, mozzette, triregni, mitrie, tabarri, costumi da carnevale di Venezia. Come ci giudicano i poveri del terzo mondo? E con l'abbigliamento i titoli: Santità, Eminenza, Eccellenza, Monsignore. Non potremmo imparare dal Dalai Lama, rappresentante dei monaci tibetani, così semplice, cosi umano? Terza riforma: quella della curia. In una ditta quando cambia il dirigente si rinnova tutto lo staff. Solo nella chiesa al rinnovo del Papato devono restare tutti i precedenti cardinali, dignitari, prelati, uguali, allo stesso posto, come i nostri parlamentari, attaccati alla poltrona con i denti mascellari? E poi tutta una seria di riforme che rispondono ad: ascoltare i nuovi problemi del mondo e la declericalizzazione della chiesa, e collegialità nell'esercizio dell'autorità. Li conosciamo tutti e non vale la pena ripeterli: coppie di fatto, divorzio, secondo matrimonio, omosessualità, celibato dei preti, sacerdozio delle donne, testamento biologico, ambiente, povertà: un infinito.
                                      Troppe pretese e critiche contro la Chiesa?
Si dimentica che le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa! Sembra un discorso forte, ma è fra i più deboli. Certo la Chiesa lungo i secoli ha fatto molto bene all'umanità. Però non dimentichi che molto la sua diffusione è dovuta alle guerre di religione, ai roghi, alle crociate, alle scomuniche, alle conversioni forzate. Nonché peso del potere, della politica, del denaro. Il Cristianesimo che affida alla vittoria storica la conferma pubblica di una verità è in realtà debole perché messo a rischio di venire confutato. Mentre l'ebraismo che non ha gerarchie, non ha sacerdozio, dura da tre mila anni. Mille più del cattolicesimo. L'induismo, buddismo, religioni asiatiche, 2.500 anni, permangono senza guerre di religioni, senza papato, senza Jor e banche vaticane di sorta. L'Islamismo dura da 1400 anni non ha sacerdoti, ma solo dotti del Corano. Le porte dell'inferno non prevalgono non solo contro la Chiesa cattolica, ma neanche contro le altre religioni dove il tutto si tiene con una fede verso il (proprio) Dio Signore del mondo. Continuità e permanenza della chiesa possono costituire un argomento debole, un'arma a doppio taglio. Comunque alla fine le dimissioni di Ratzinger a molti personalmente hanno dato un argomento in più per appartenere a questa Chiesa. Personalmente sono sempre stato un tipo alquanto critico, come si suol dire del "dissenso" sul modo di gestire la chiesa da parte del Vaticano. Un dissenso costruttivo che spero mi accompagnerà anche nel futuro. Onestamente questo di Ratzinger è un atto di fede nel Vangelo e negli uomini. Lo apprezzo, lo ammiro, lo ringrazio: si, perché è molto meglio a ‘sto mondo oggi una medaglia d'oro che cento patacche di latta.

Autore:
Albino Michelin
08.03.2013

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