martedì 23 giugno 2015

CATTOLICI ISLAMICI E LA RECIPROCITÀ

La reciprocità è diventata oggi un chiodo fisso, una specie di nevrosi allorché si entra nel discorso dei rapporti cristianesimo-islamismo. Ln tutto questo dibattito però non si sente un riferimento a Gesù e al suo Vangelo. Il quale Gesù a dire il vero non ha mai   fatto cenno alla reciprocità. Suoi alcuni passi:” a chi ti percuote la guancia sinistra offri anche la destra. A chi ti chiede di fare con lui un miglio tu fanne due. A hi ti domanda la tunica, cedigli anche il mantello.” Lungi dal prendere alla lettera queste espressioni, se no ci dovremmo lasciar mettere i piedi sul collo, svaligiare la casa senza legittima o illegittima difesa. Sarebbe autolesionismo, masochismo, rinuncia alla propria dignità. Però il senso a cui allude Gesù non ci dovrebbe sfuggire: è proprio quello di non pretendere reciprocità. Di fare noi il primo passo senza che l’altra parte faccia il secondo, senza esigenza di corresponsione. Perché secondo Gesù, il bene, l'onesto, il dialogo non si commercia, ma lo si testimonia perché a onda lunga diventa più costruttivo del male, dell'imbroglio, della vendetta. Però Gesu’ mica solo ha predicato bene e poi razzolato male, si è anche comportato di conseguenza. Quando gli si avvicinò un centurione romano, di altra religione, un po' come i nostri islamici di oggi e gli domandò la grazia di guarigione per un suo badante, Gesù non gli rispose: «mostrami la tessera del tuo partito, ti faccio la grazia a patto che ti converta alla mia fede, solo se sabato prossimo verrai al tempio o se domenica verrai alla messa ...». No, gliel'ha  fatta senza reciprocità, senza attendersi nulla, ma solo perché per quello straniero infedele questo era un bene desiderato. Ci si prenda la briga di studiare tutti i 40- 50 miracoli del Vangelo e poi ci si accorgerà che questa era la logica di Gesù. Ma noi nel nostro cristianesimo, nella nostra civiltà cristiana, nella nostra Europa dalle radici cristiane, e proclami del genere, questo comportamento di Gesù lo si ignora profondamente, ed invece sarebbe l'a-b-c- della nostra fede.
                    Prima siano gli islamici a permettere le nostre chiese nei loro territori.
Conosciamo molto bene le nostre rivendicazioni reiterate in ogni discussione. «Perché noi dovremmo costruire le moschee in Europa e in Italia e loro non vogliono le chiese cattoliche nei propri paesi, anzi perseguitano e cacciano i cristiani?  Perché noi dovremmo esporre i simboli di Maometto se loro non vogliono il nostro crocefisso nelle loro scuole? Perché noi dovremmo permettere il culto ad Allah, quando loro ammazzano in Turchia un prete cattolico e solidale, come recentemente don Santoro?». E giù un elenco di reciprocità. Qui liberiamo il campo da eventuali confusioni: gli Stati e le legislazioni politiche hanno tutto il diritto dovere di controllare sulla reciprocità nel commercio, nell'artigianato, nella mano d’opera, nell'immigrazione, nelle relazioni finanziarie ecc. Il nostro discorso verte soltanto sul religioso, sul rapporto fra religioni, realtà in cui ogni stato laico, ad esempio il nostro, non dovrebbe mescolarsi più di tanto.
                                   L’ora di religione islamica nelle scuole cattoliche?
Tempo fa il Cardinal Martino, responsabile del dicastero vaticano per la cultura, ha fatto la proposta di introdurre l'ora di religione islamica nelle nostre scuole. Così attraverso la conoscenza e il rispetto della cultura altrui, si può costituire alla lunga una piattaforma per la reciproca convivenza. Il prelato, per nulla ingenuo, poneva anche alcune condizioni, come ad esempio quella che in una scolaresca vi sia un numero adeguato di bambini maomettani. Il Cardinal Ruini vi piantò qualche paletto cioè «a patto che tale insegnamento non metta in pericolo il nostro assetto sociale». Ma in pratica non poté opporsi ad un orientamento che è pure di Ratzinger, cioè aperto al dialogo fra le culture. Siamo d’accordo con Ruini a che l'insegnamento islamico non metta a soqquadro il nostro tipo di società. Però, sia permessa una piccola digressione storica, non tanto per negare il suo asserto, ma per evitargli polemiche inutili contro gli arabi. Il Cristianesimo delle origini per tre secoli fino a Costantino è stato perseguitato e posto fuori legge perché i suoi dettami contrastavano con la costituzione dell'impero romano. Considerato sovversivo ed ateo perché rinnegava le divinità di quella religione lo storico Tacito (55-117 d. C) lo definiva funesta superstizione, setta di «Chresto» pericolosa non solo in Giudea, ma nella stessa Roma. Anche i cristiani preferivano la morte rispondendo «è meglio obbedire a Dio che non agli uomini». Oggi dopo 1700 anni a Roma e in Europa si è ribaltata la situazione. Gli islamici e le loro leggi socio-religiose contrastano con le nostre. Pensiamo al loro concetto di libertà, della donna, della famiglia, del culto, del ramadan, delle festività al venerdì. Noi li affrontiamo: «o rispettate le nostre leggi o ve ne andate a casa vostra». Giusto, nessuna obbiezione sul piano politico, legale. Ma un dubbio sul piano religioso: non è per caso che noi cristiani, perseguitati a suo tempo sotto l'impero romano, siamo diventati a nostra volta persecutori contro gli islamici sotto il neocolonialismo dell’impero occidentale? A quel tempo i cristiani predicavano: «il sangue dei nostri martiri é seme di cristiani». E oggi gli islamici predicano la stessa cosa: "il sangue dei martiri kamikaze é seme dei nuovi seguaci di Allah". Rovesciate le parti, lo stile è lo stesso, l'anima identica: la lotta contro gli infedeli verso quello che ciascuno di noi crede il vero Dio. Saltiamo la storia fino ai Testimoni di Geova attuali. Anch'essi si esimono dalle leggi dello stato o le combattono, come il servizio militare, oppure le norme sanitarie, come la donazione del sangue. La loro risposta, bibbia alla mano? «Meglio obbedire a Dio che non agli uomini». Considerando i due esempi su citati, come darci torto? Ogni religione quando ha voluto affermarsi (e sempre in nome del suo Dio o del suo concetto di Dio) si è posta contro le leggi, usi e costumi ambientali. Si pensi (e con senso del nostro limite) al Cattolicesimo che nel 1500 per convertire l'America latina ha spazzato via civiltà antiche e di grandi risorse umane come gli lncas e gli Aztechi. Sempre premesso che dai gruppi fondamentalisti è doveroso difendersi e renderli inoffensivi, non bisogna dimenticare la lezione della storia. Il dialogo e non la soppressione è oggi l'unica forma per istaurare convivenza.
                      A quando un culto protestante nella Basilica di S. Pietro in Roma?
Sabato 25 marzo 2006 dopo 470 anni un vescovo cattolico, B. Genoud, ha celebrato la messa nella cattedrale di Losanna, dal 1536 passata ai protestanti e di proprietà dello Stato elvetico 1700 persone di entrambe le confessioni vi hanno preso parte. Il saluto di benvenuto è stato rivolto da E. Roulet, sinodale della chiesa riformata, sottolineando la portata simbolica dell’evento. Tanta fu la commozione che una voce dalla folla gridò un grande grazie. E qui bisogna dare atto che il protestantesimo ha fatto un grande passo. Avrebbe anche potuto rifiutare quella messa cattolica, o respingerla come tentativo dei cattolici di invasione e di riconquista di una terra a loro non dovuta, avrebbero anche potuto rinfacciare l’offesa (dal loro punto di vista) ricevuta sotto il papato di Wojtyla che li ha definiti «chiesuola», avrebbero potuto anche invocare   la   reciprocità o la legge del taglione “occhio per occhio dente per dente.” Come amici cattolici di oggi vorrebbero fare contro di loro, contro gli islamici, ecc. No, hanno compiuto il primo passo. Quando lo Spirito del Signore più che non al vertice parla alla base del suo popolo. Infatti egli dice nella Bibbia: «vi farò tutti profeti». Certo H. Babel, decano dei calvinisti di Ginevra, ha pure aggiunto: «Ma il vaticano permetterebbe che nella Basilica di S. Pietro in Roma si celebrasse un culto protestante?». Più che sfida prendiamo questa espressione come un auspicio per un passo simmetrico da parte cattolica. Ma in tutta questa tensione di oggi fra, cattolici-protestanti e specialmente fra cristiani-islamici, l’esigenza della reciprocità, non andrebbe posta al primo piano. Difatti il su citato E. Roulet nella cattedrale di Losanna ha salutato cosi’: ”oggi dobbiamo armarci tutti di tanta pazienza». Dunque calma e gesso. Una saggezza che potrebbe portare i suoi frutti piu’ che non le missioni di pace basate sulla guerra, la violenza, la pretesa di reciprocità.

Autore:
Albino Michelin
14.06.2006

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