giovedì 4 giugno 2015

CONSUMISMO RELIGIOSO

Che cosa significhi il consumismo materiale economico non c'è bisogno di spiegarlo in quanto lo conosciamo tutti, anzi è una esperienza   che ci accompagna e di cui è intessuto il nostro quotidiano. Si può così riassumere: produrre sempre, molto, dovunque allo scopo di cavarne profitto e consumare. Esaurito il ciclo si ricomincia a produrre e così in una spirale senza fine. Conclusione: l’economia cresce. Non vogliamo entrare nella discussione sul pensiero né sull'elica morale di questo consumismo. Ci interessa spostare l'attenzione su di un altro tipo, quello religioso. Significherebbe: compiere tante opere buone o ritenute tali, depositarle nella banca dati del paradiso per consumarle come sentimento gratificante nell’aldiquà, come premio eterno nell'aldilà. Nell'ambito economico la persona oggi tanto vale quanto produce, anzi la persona è il suo prodotto, cosi nel campo religioso una persona tanto assumerebbe di valore a seconda della quantità delle sue opere, da essa ritenute buone. Nel quadro di questa logica sarebbe da preferire la quantità alla qualità della fede. Ma di qui potrebbe nascere una serie di equivoci. Ad esempio la concorrenza anagrafica. Consultando diverse tabelle non si riesce ancora ad avere un'idea di quanti siano i cattolici nel mondo. Ogni censimento arrotonda il numero verso l'alto. In effetti chi parla di 800 milioni, chi di un miliardo ed oltre. In tutti i casi importante è il numero sia sempre e di molto superiore a quello dei protestanti e degli ortodossi. Cioè la preoccupazione dell’audience di appartenenza ci fa dimenticare che questa non coincide con la qualità, anzi la qualità fede in determinati comportamenti dei protestanti e ortodossi è spesso migliore sul mercato di quella dei cattolici. Altro aspetto e più profondo del consumismo religioso: si inventano e si divulgano anche ad arte luoghi di apparizioni, di visioni, di apocalissi, di celesti profezie per mobilitare la maggior quantità possibile di persone e convenire o con pellegrinaggi o pie forme d turismo in quei luoghi ritenuti sacri. Così si divulgano cifre di milioni di credenti che nei santuari si accostano alla confessione e alla comunione. E dal numerò dei consuma-particole si cantano alleluia di tripudio: "oh, quanta fede!". Non ci si interroga però sulla qualità di tale fede. Un terzo aspetto ancora più eclatante sarebbe lo sfruttamento della credulità popolare. Sentiamo circolare queste raccomandazioni: carissimo(a), compi opere buone, tante, recita preghiere, rosari, pie devozioni, tante, assisti a tutte le messe che ti è possibile, ricevi ogni benedizione, compi la pratica dei primi nove venerdì, dei primi sabati del mese e sarai prediletto dall’Altissimo, nell'ora della morte entrerai subito in paradiso senza scalfire il purgatorio. Recentemente una propaganda pubblicitaria emessa da Radio Maria, direttore L. Fanzaga, sollecitava il pubblico dei suoi 3 o 30 milioni di devoti nel mondo (il numero qui non ha importanza) a sostenere finanziariamente questa emittente, in quanto essa viene garantita non dalla pubblicità degli sponsor, ma dalla sensibilità dei suoi devoti, appunto. Fino a qui nulla da eccepire, anche le nostre associazioni culturali, sportive, del tempo libero sopravvivono con il contributo libero dei soci. Ma ecco la conclusione: "La Madonna vi contraccambierà con le sue copiose grazie e la sua protezione”. E qui casca l'asino, si ritorna all’equivoco: vorrebbe dire che chi non sostiene Radio Maria va incontro a disgrazie o viene abbandonato alla sua sorte? Secondo il messaggio del Vangelo   andrebbe   anzi rovesciato il rapporto. In effetti Gesù ci ha promesso che lui si danna l'anima per una sola pecora smarrita, lasciando le altre 99 al sicuro nell'ovile. Ci disturba sapere che i ritenuti da noi "peggiori e malvagi" sono da Dio i più ricercati e i privilegiati?                  
                                               Tariffario economico delle opere pie
 Questo è proprio il fior fiore all'occhiello del consumismo religioso. Ha fatto protestare Lutero nel 1500 e se i nostri cattolici oggi non protestano è perché spesso preferiscono viltà e omertà. Nelle Historie infatti del tempo si legge sul tariffario:” chi ha rubato un coniglio al vicino viene assolto tramite l'offerta di 10 ducati. Chi gli ha rubato l'asino ducati 20. Chi la moglie ducati 50. Chi compie un omicidio ducati 100 …” e avanti di questo passo. Importante, come si vede, era produrre opere buone tramite denaro. Ciò comportava assoluzione e paradiso. E qui ci si permetta una digressione: peccato che i nostri cattolici tutt’ora non abbiano ancora compreso il motivo di fondo della riforma protestante. Cadono sempre nelle solite rispostine periferiche: Lutero e i suoi seguaci non credono al papa, alla Madonna, ai santi. Falso, ci credeva e ci credono, ma nella dovuta gerarchia, nei confronti di Dio e Gesù Cristo. I protestanti ritenevano e ritengono, qui è il nucleo del contendere, che non sono le nostre opere buone a darci il diritto a Dio alla sua gratificazione, ma è la fedeltà di Dio nei nostri confronti. Cioè Dio ci giustifica e ci perdona non perché noi siamo buoni, ma perché lui è buono. E qui qualche garibaldino cattolico tirerà delle conclusioni libertine: “allora tanto vale, troppo comodo, ognuno può fare il trasgressivo a piacere, tanto viene da Dio amato e salvato ugualmente.” Non è vero, Lutero sostiene la necessità delle nostre opere buone, oneste, sante, però come dimostrazione che si ama Dio e il suo Vangelo e non perché così si accampa il diritto di prezzolare il Regno dei cieli. E questa è qualità di fede a 18 carati. Tant’è vero che a fine ottobre 1999 i cattolici si sono avvicinati al pensiero protestante in merito sottoscrivendo insieme il documento sulla "Giustificazione” così come ne parla Paolo nella lettera ai Galati(2,16). Che poi il tariffario fosse solo un andazzo del Medioevo viene smentito da modi di fare e di gestire il sacro ancora attuale ai nostri giorni. Impressione ad esempio abbastanza negativa fece ad alcuni nostri connazionali del sud la celebrazione della Cresima in una loro parrocchia (ma le altre non saranno da meno): ogni ragazzo doveva portare al Vescovo una busta con dentro relativa offerta in denaro. La risposta a queste tante, innumerevoli opere "buone “era la benedizione del Vescovo con la garanzia di copiose grazie celesti. Ma questa prassi non è solo del Sud, è un po' di tutta l'Italia, magari ampliata in altri settori devoti, come la celebrazione delle messe da morto e quant'altro.
                                                          Soluzione evangelica?
Nel caso in questione più opportuno sarebbe consigliare i ragazzi della Cresima a destinare essi stessi il loro contributo materiale a persone in stato di bisogno, direttamente e tramite il loro spirito di osservazione e la loro sensibilità. Non tanto per guadagnarsi il paradiso o per sentirsi la coscienza a posto con la solita retorica umanitaria, ma perché ogni bisognoso è un mio fratello, e in lui ci abita Dio. Un caso in cui dalla quantità della fede o delle opere buone, si   passerebbe alla qualità. Cioè nella direzione opposta al consumismo religioso, troppo spesso sottinteso nel nostro diffuso comportamento.

Autore:
Albino Michelin
01.10.2004

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