venerdì 5 giugno 2015

OSCAR ROMERO: "RISORGERÒ NEL MIO POPOLO"

Anche oggi nel nostro tempo apparentemente opaco e senza ideali non mancano persone eroiche che danno la vita per una causa nobile. Non occorre citare sempre Gandhi, Luther King, Mandela, Madre Teresa. Ve ne sono molti altri, imperdonabile dimenticarli. Fra questi Oscar Romero(1917+1980), vescovo di S. Salvador, capitale dell’omonima repubblica. Con un colpo a sorpresa tipico del suo stile, Papa Francesco ha deciso di dichiararlo beato il 23 maggio 2015. La sua causa di beatificazione giaceva bloccata nei corridoi vaticani e arrischiava di finire alle calende greche. E lo dichiara martire perché assassinato in odio alla fede. La motivazione potrebbe sembrare non condivisibile. Romero non è stato eliminato perché pregava, recitava orazioni, distribuiva sacramenti soltanto ma perché e soprattutto aveva scelto di evidenziare i valori sociali del Vangelo: la priorità preferenziale per gli ultimi, per i poveri e nel nostro caso per gli oppressi dalla dittatura e dal latifondismo salvadoregno. Di carattere riservato, timido, ansioso, gesuita un pò sul mistico. Ma quando nel 1970 divenne vescovo ausiliare e nel 77 arcivescovo della capitale S.Salvador con 2 milioni di abitanti si accorse che doveva invertire le sue tendenze, darsi coraggio, e soprattutto dare la vita per il suo popolo. El Salvador conta 7 milioni di abitanti, di antica civiltà maya, conquistato dagli europei nel 1524, ricco di storia spagnola, repubblica indipendente dal 1841 da sempre dilaniato da guerre civili almeno fino al 1992. Mortalità infantile al 23 % età inferiore ai 14 anni al 35%, meticci 87%, europei 12 %, Cristiani 80%, di cui 50 cattolici e 30 evangelici. La sua ricchezza consiste nella cultura del caffè, cotone, canna da zucchero, con una scandalosa concentrazione nelle mani dei pochi latifondisti e narcotrafficanti. Il 10% detiene la ricchezza del 90% miserabili. Il Governo è in mano all’estrema destra con il partito Arena, appoggiato dagli Usa, che esercita una sistematica repressione contro i campesinos contadini. Romero non divide il suo popolo, frequenta anche i ricchi ma per stimolarli a riforme e condivisione per i poveri. Anche se non vi aderisce, simpatizza con la Teologia della Liberazione, di cui trae impulsi positivi. Il nome risale al 1973 con G. Gutierres, ma la dottrina ha origine a Medellin nel 1968 con il Celam, Consiglio episcopale America Latina. Liberazione dalla miseria e libertà verso una uguale dignità e diritti della persona. Oscar fonda una radio dalla quale divulga le sue omelie domenicali, le sue conversazioni, i suoi messaggi, denunciando il potere che imbavaglia e uccide i profeti, molti sacerdoti, suore, catechisti, laici che portano e leggono una bibbia perché scomodi al sistema. Per attenuare lo slancio i governativi tentano di conquistarselo e gli offrono la costruzione di un nuovo palazzo vescovile. Rifiuta scegliendo di abitare in una stanzetta dietro la cappella dell’ospedale nel quale erano ricoverati i malati terminali. Diviene inviso anche ad alcuni vescovi che lo citano a Roma, dove il 24 giugno del 1978 ha udienza con Paolo VI dalla quale esce demoralizzato pe le osservazioni negative sulla sua condotta pastorale. Nel maggio dell’anno seguente il successore, cioè Papa Wojtyla lo richiama in Vaticano e gli propone il trasferimento. Sentore di marxismo, vede i sorci verdi. E siccome Romero rifiuta, riceve l’ingiunzione di essere più prudente e rispettoso delle autorità salvadoregne. E’ un’atra chiesa: un Wojtyla che tiene rapporti con i potenti, (Walesa in Polonia, Pinochet in Cile) simbolo dell’ultimo papa re che tende ad evangelizzare il mondo iniziando dagli “imperatori” e invece Vescovi e preti del Sud America che cercano di evangelizzare il mondo iniziando dai poveri. Che papa Wojtyla il 6.3.83 tre anni dopo l’assassinio abbia pregato sulla tomba di Romero, incalzato dalla folla dei campesinos che già lo veneravano santo, nulla toglie all’esperienza di isolamento in cui Romero ebbe a proseguire. Anche perché quelli, i suoi avversari aveva buon gioco a distribuire volantini e affiggere manifesti con lo stampaggio del diktat di Papa Wojtyla per il quale il Cristianesimo è inconciliabile con il Comunismo: ”Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa, perché la chiesa è di tutti.” Conosceva bene le encicliche papali come Rerum novarum del 1891, la Quadragesimo anno del 1931, la Ecclesiam Suam del 1964, la Populorum Progressio del 1967, ma gli rimanevano una bella grammatica con scarsa efficacia pratica. Per Romero ogni chiesa vive in una società con caratteristiche culturali e sociali diverse e in queste essa deve calarsi e dare risposte adeguate, soprattutto con pieno coinvolgimento e testimonianza. Di qui è facile l’appellativo di vescovo marxista, come 35 anni dopo molti definiranno comunista papa Bergoglio. Ma entrambi rispondono che l’amore verso i poveri prima di Marx l’ha raccomandato il Vangelo. Con il passar dei mesi Romero si accorse che le cose prendevano una brutta piega e la sua stessa incolumità personale andava mettendosi in pericolo. Sempre di più aumentavano i presentimenti dal momento che le minacce di morte si facevano sempre più frequenti. Si può dire che fu una morte annunciata. Anche di notte i suoi sonni erano turbati, si svegliava di soprassalto allorché qualche frutto cadeva dalla pianta sul tetto della sua stanza: l’impressione di una scarica di fucile. Romero non pensava ad una morte eroica che facesse storia. Non voleva sfidare i nemici del popolo a ucciderlo per poi mostrarsi risorto nella rivoluzione. Il 23 marzo del 1980 durante la messa lesse lista degli scomparsi, dei torturati, degli uccisi nell’ultimo periodo e invitò ufficiali e forze armate a non eseguire ordini contrari alla morale cristiana ed umana. La sera seguente durante l’ultima messa, mentre era sull’altare venne ucciso da un sicario mandato da R. Daubuisson, leader del patito nazionalista conservatore. Era il 24 marzo 1980, aveva 63 anni. Ovvio che fra le scelte di Romero e di papa Francesco vi sia continuità nel stessa vocazione: per questo egli decise di farlo beato, cioè di porlo non tanto alla venerazione ma all’attenzione del mondo intero, affinché i poveri non siano più ridotti ad uno scandaloso scarto sociale.

Autore:
Albino Michelin
30.05.2015

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