giovedì 4 giugno 2015

CONFESSIONE SACRAMENTALE E CONSULENZA MORALE

In data 5 gennaio 2005 tramite il Giornale di Vicenza il sign. Francesco Faresin mi diede il consenso di fare aperto dibattito sul tema confessione. Scrive:
«Chiedo ospitalità per domandare pubblicamente scusa ad una persona che involontariamente ho fatto soffrire (io insieme ad altri). La cosa risale a molti anni fa, gli anni di tangentopoli. Il Signor Lorenzo Munaretto della Democrazia cristiana veniva accusato di peculato (non sono un esperto di diritto, non so se il termine sia esatto). Un avviso di garanzia per il popolo ignorante di cui faccio parte equivale ad una sentenza di condanna. Di qui i commenti più malevoli, gli insulti, gli slogan e le scritte contro una persona che tanto aveva fatto per la nostra comunità e tanto aveva dato anche al nostro paese. Il benefattore di punto in bianco era diventato il malfattore. Scrivo questo non per rinvangare un passato doloroso, ma per domandare pubblicamente scusa a chi è stato messo alla gogna per tanto tempo. lo con tanti altri non sapevo come esattamente stessero le cose. E tuttavia pur senza sapere abbiamo giudicato e condannato. Abbiamo dato credito al «si dice» e dimenticato tutto quello che di positivo Lorenzo Munaretto aveva fatto. E questa è una colpa per la quale intendo chiedere perdono, sia pur tardivamente. La passione politica e il clima che si respirava in quegli anni ci hanno impedito di essere saggi ed emettere giudizi sommari che non sono mai giusti e tantomeno cristiani». (Francesco Faresin, Mason). E' questa un'occasione interessante per interrogarci sul significato della confessione privata dal prete, detta sacramentale, ma anche dei suoi limiti, e talvolta anche della sua ipocrisia.
                                      Sacramento, inflazione di un termine retorico.   
Sacramento, lo sanno tutti gli italiani cattolici, significa «gesto sacro», o meglio dal latino “giuramento   di fedeltà”.  Questa seconda accezione nessuno o pochi se la sono sentita dire. Ma restiamo pure sul gesto sacro. Tale non tanto perché viene fatto in chiesa, dentro ad un mobiletto esoterico o stanzetta mistica, o perché espresso davanti al prete officiante del culto. Ma gesto chiamato sacro perché scaturisce da una motivazione interiore profonda e veritiera, nella quale si riconosce di avere offeso la sacralità dei diritti umani, della dignità personale od altrui, sia esso Dio od un qualsiasi essere umano. Tale convinzione interiore, se autentica, conduce anche ad esprimersi in un gesto esteriore corrispondente, atto a riattaccare i cocci, ricostituire i rapporti, saldare i debiti. Orbene se il nostro interlocutore Faresin anziché pubblicare questa lettera fosse andato in qualche santuario, dal frate di turno con la manica più o meno larga, a recitare i suoi mea culpa, non avrebbe ricevuto nessun sacramento ma espletato una formalità di routine, con l'illusione di uscire purificato. Effetto placebo squisitamente fuorviante. Ecco perché molte confessioni sacramentali di Natale, Pasqua, quelle di obbligo la sera prima del matrimonio in genere non cambiano né i cristiani né il mondo. Se io mi litigo con il partner, prima di andare dal prete eventualmente per sentirmi assolto, debbo assolvermi da solo chiedendo scusa all'offeso. E si allarghi pure il discorso a tutti gli ambiti del comportamento morale, personale, pubblico, civile, politico nonché della malavita sociale, quale mafia, 'ndrangheta, camorra. Qui i protestanti non hanno tutti i torti allorché rifiutano questa «nostra». Confessione, sostenendo che se uno si confessa a se stesso seriamente o alla sua coscienza non può sfuggirsi e trovare alibi, ma farà attenzione a non prendersi in giro una seconda volta. La crisi della confessione cattolica si manifesta oggi come un fatto socio-culturale: cioè sorta in altri contesti mostra i suoi limiti. Per precisi motivi che qui elenchiamo
                                         Il perché di una disaffezione crescente  
Sta cambiando il senso del peccato. Più che come offesa a Dio esso viene visto come ferita all'uomo e all'ambiente in cui si vive. Certe trasgressioni al precetto (messa festiva ...) vengono avvertite sempre meno come peccati perché sembrano ferire proprio niente. Sta cambiando l'idea della mediazione. Cioè perché confessarsi ad un prete se è Dio che perdona? Sta cambiando il rapporto con l'autorità, in quanto essa non viene più considerata come privilegio divino e sede della divinità: l'unica autorità che si accetta è quella del carisma, della testimonianza, dell'amore. Si preferisce una Madre Teresa al prete in cotta e stola, tale solo perché giuridicamente a ciò deputato. Sta cambiando il concetto di libertà e quindi di responsabilità in quanto l'atto umano sarebbe limitato da una serie di condizionamenti. Sta cambiando infine il catalogo dei peccati. L'eros ed il sesso per esempio sono diventati oggetto di franca conversazione, quando non addirittura di pubblicità hard. Considerazioni tutte che hanno portato ad una disaffezione verso la confessione, detta sacramentale. Alcuni tentativi di ripensamento come le liturgie penitenziali con assoluzione comunitaria, anche all'inizio della messa, ed altre prospettate pure dall'episcopato e dal Sinodo svizzero 72 sono state bloccate nei cassetti dei dicasteri romani. Ci si augura ora un nuovo ripensamento: che la chiesa non neghi ciò che molti veri credenti desiderano e non imponga una istituzione storica che molti considerano forzatura di coscienza. Mentre però questo sacramento è in palese debito di ossigeno, aumenta il bisogno di sostituirlo con la cosiddetta consulenza morale. Mi si permetta di citare un caso, anche qui emblematico. Nell'ultima Pasqua una ragazza va a confessarsi dal prete dichiarando di trovarsi in costante lite con i genitori. Ama un ragazzo e quindi ferie insieme, svaghi, sport, discoteca, tempo libero. Tutto tranne che la pubblica convivenza.  I genitori entrano di brutto. Minacce, scenate, un inferno. L'interessata si chiede: il moroso non lo lascio neanche a morire, con la famiglia non mi sento di rompere.  Domanda al prete come comportarsi per ricevere l'assoluzione sacramentale. Conclusione: questa non è una confessione, questa è ricerca di consulenza morale. Se viene assolta da un peccato la ragazza se ne torna fuori con l'altro e viceversa.  Qui siamo di fronte ad una ricerca di consiglio, come avviene con uno psicologo, da farsi su appuntamento ed in una tranquilla conversazione.  Ma anche questo approccio è in crisi, pur essendo di estrema importanza a motivo del fatto che molti preti sono stati abituati soltanto a recitare assoluzioni, meno ad analizzare e cercare orientamenti illuminanti. A parte il fatto della insignificanza che qualche sacerdote attribuisce alla psicologia, nel senso che questa non cancellerebbe la colpa come la confessione sacramentale, ma disserterebbe solo sulle cause di essa. Affermazione troppo semplicistica. La gente oggi ha più bisogno di responsabilizzazione che di colpevolizzazione, più di soluzioni orientative che non di assoluzioni a buon mercato.

Autore:
Albino Michelin
08.04.2005 

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