giovedì 4 giugno 2015

CELIBATO E DONNE PRETI, IL SINODO DI LUCERNA NON DEMORDE

In tutti molti settimanali, anche se a scadenza diversa, sono apparsi negli ultimi mesi del 2003 articoli concernenti la mancanza di clero, il celibato dei preti, il sacerdozio della donna. Ragion per cui vale la pena di accedere alla completa documentazione sul Sinodo della chiesa cattolica di Lucerna, che unitamente al Consiglio Pastorale ha pubblicato in data 5 novembre una dichiarazione "Sul libero celibato dei preti, sulla reintegrazione negli uffici ecclesiastici di preti sposati, sull'ordinazione femminile". Il procedimento seguito appare molto serio. Non sono state raccolte le solite firme con cappello e bussolotto alle porte delle chiese per una plateale protesta emotiva, ma dopo lungo e dettagliato dibattimento alla base, consigli pastorali, decanati, ecc. il tutto venne messo a votazione nel plenum. Il risultato è più che sorprendente. Su 90 componenti il parlamento di chiesa 73 votarono a favore, 7 contro, 9 astenuti. La responsabile della commissione dr. Paola Beck alla domanda se in questa consultazione fossero state coinvolte anche le missioni cattoliche italiane del territorio mi rispose che la loro inclusione era considerata ovvia però non era in grado di quantificare il loro apporto. La conseguente richiesta ufficiale è stata inviata al vescovo di Basilea Koch affinché si facesse portavoce presso la Conferenza episcopale svizzera e affrettasse una risposta Per conoscenza venne pure diramata a tutti i vescovi e a tutte le istanze pastorali elvetiche. Dichiarazione e richiesta in merito è stata corredata da motivazioni di carattere biblico e storico che tutti conoscono. Ma qui val la pena riassumerli per tentare una certa interpretazione.
                                         Il sacerdozio femminile, un arricchimento per tutti.
Testo:”'Ci sentiamo impegnati in questa chiesa e quindi riteniamo necessario esprimere la nostra posizione. E' noto che il celibato sacerdotale divenne obbligatorio solo a partire dal secolo XlI mentre nella Bibbia e nella chiesa delle origini non risulta fosse una condizione essenziale connessa con l'esercizio di questo ministero. Molti preti per paura di perdere il posto o per solitudine si compensano con l'alcool o altre dipendenze. Spesso una doppia vita e una doppia morale davanti alle quali l'autorità religiosa preferisce chiudere un occhio. La vita di coppia può essere anche per un prete un aiuto inestimabile. Il celibato è un carisma che non si può imporre a tuti, né per sempre. In quanto alle donne sappiamo che esse espletano compiti importanti nella catechesi e nella liturgia. Dalle indicazioni papali ci viene detto che la chiesa non ha nessun potere di ordinare donne preti e che la cosa è definitiva. La Congregazione della Fede ha poi ristretto il senso del pronunciamento definendolo infallibile. Invece noi siamo convinti che qui la chiesa può cambiare, non vi è nessuna legge divina a proibirlo. Il sacerdozio femminile rappresenta per tutti un arricchimento. In una chiesa come da Gesù pensata e da noi recepita l'uguaglianza uomo-donna è di diritto naturale. Ancorché noi siamo parte della chiesa universale non c'è motivo a che i nostri vescovi proibiscano o rallentino riforme urgenti. Le necessità di un territorio non possono per noi allo stesso tempo essere uguali a quelle di un altro territorio. La Svizzera al riguardo potrebbe rappresentare un ruolo precursore di battistrada. L'essenziale della nostra fede, cioè la sequela di Gesù resta intatta nonostante queste riforme". Fino a qui la dichiarazione del Sinodo, cui poi il Consiglio Pastorale cantonale aggiunse una postilla: "incoraggiamo il vescovo Koch a non perdersi d'animo. Ciascuno di noi a contatto con gli episcopati di altri continenti è al corrente che questa non è in nessun modo una specifica preoccupazione della sola chiesa svizzera". Ai due organismi rappresentativi della cattolicità lucernese la Conferenza episcopale recapitò la seguente risposta: "i vescovi svizzeri condividono la preoccupazione del Sinodo, ma le questioni sollevate vanno risolte in seno alla chiesa universale".  Qualcuno ne approfittò per cantar vittoria, che i sostenitori di queste riforme hanno perso la battaglia e che si doveva rientrare nei ranghi. Strano modo di concepire la chiesa codesto, proprio come un ring in cui i sedicenti “progressisti conservatori” si azzuffano per stendere ko l’avversano. Per chi crede nella chiesa quale segno dei tempi i problemi su accennati rappresentano un cammino da intraprendere, un processo da maturare, un traguardo da raggiungere con la logica del “c'è più tempo che vita”. Questi ed altri movimenti di pressione nella chiesa servono a mettere in movimento la chiesa stéssa, diversamente essa rimane un bel museo o una potenza mondana.
                                               A necessità differenti, risposte differenziate
Per quanto la risposta dell'episcopato svizzero fosse scontata, essa lascia il campo aperto ad ulteriori passi. Scontata nel senso che i vescovi devono fare giuramento di fedeltà al Papa, non tanto di pensare come lui, ma senz'altro come lui parlare e ripeterne i dettami. E l’attuale Pontefice Wojtyla su questi temi ha posto i suoi paletti. Indubbiamente un futuro successore puo’ sfoltire il fogliame secco dall’albero delia chiesa e rinverdirlo, come inaspettatamente fece nel 1958-03 Giovanni XXIII   su un'infinità di altre riforme ben più importanti. Comunque un primo aspetto da approfondire è quello dell’unità della chiesa universale. Significa chiesa aperta a tutti oppure uguale ed uniforme per tutti sino al menu in tavola? In quest'ultima accezione essa non potrà mai essere universale. Esempio: noi asseriamo di vivere oggi in una civiltà postmoderna. Per chi lo è? Per alcuni: USA. Europa, Giappone...non certo per la Papuasia, il Burundi, ecc. che vivono po' su po' giù come all'età della pietra. In base a ciò varia anche il nostro rapporto nei loro confronti. Cosi è per la chiesa. Essa ha da essere "una-universale " per quanto concerne i contenuti essenziali del Vangelo, per il resto si dovrebbe rapportare secondo usi, costumi, esigenze locali. Di conseguenza presso alcuni popoli preti sposati e sacerdotesse non vengono digeriti, presso altri invece, vedi la Svizzera, vengono desiderati. Un secondo aspetto: distinguere bene lo stato di necessità dallo stato di diritto. Non perché in Svizzera vi sono 650 parrocchie scoperte, prive di preti celibi, come strategia provvisoria si invoca il ricorso a preti coniugati e donne all'altare. Tale diritto esisterebbe anche se i preti celibi fossero in esubero. L'ultimo aspetto: la crisi di Dio. Non farsi illusioni: libero matrimonio ai preti e ministero alle donne non risolverebbero la penuria di vocazioni, in calo anche presso le chiese riformate in cui non esiste questo divieto. Nel senso che oggi la vera crisi è nel nostro Dna: Dio è morto, la fede spenta, il consumismo con la dolce vita è imperante. Il 2005 probabilmente verrà dedicato quale "anno delle vocazioni”. Certamente saremo invitati a pregare affinché il Signore mandi operai (preti celibi) nella sua vigna. Secondo il tenore del Sinodo di Lucerna, di tante altre istanze, nonché di varie componenti il popolo di Dio ci sia però permesso di pregare perché in futuro vengano arruolati nella vigna del Signore anche preti sposati e sacerdotesse. Per intanto la nostra soluzione intermedia in Svizzera è: 153 diaconi permanenti, molti laici teologi e teologhe coniugati o meno. Fra il clero italiano invece e in Ticino la nebbia è fitta. Come ebbe a scrivere E. Morresi. direttore di Dialoghi, si ha l'impressione che "il sistema clericale resista a questa innovazione per timore della concorrenza”.

Autore:
Albino Michelin
30.01.2004  

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