venerdì 10 luglio 2015

DON MILANI: UNA RIABILITAZIONE TARDIVA MA DOVUTA

Il 10 maggio 2014 si sono date convegno in Piazza S. Pietro a Roma tutte le scuole di estrazione cattolica esistenti in Italia. Le cronache parlano di 300 mila studenti convenuti. L a manifestazione potrebbe essere archiviata come tante altre di routine, invece per i suoi contenuti merita una maggiore attenzione. Il programma ovviamente si è aperto con la partecipazione di Papa Francesco e con diversi interventi musicali, folkloristici, animazioni, letture adatte e testimonianze. Fra queste alcune tratte anche dagli scritti e dai metodi didattici di don Lorenzo Milani, parroco di Barbiana, un paesino nella Valle del Mugello, territorio fiorentino. Cosa inaudita. Nato nel 1923 e deceduto all’età di 44 anni nel 1967 consumato da un tumore. Papa Francesco parlando a braccio lo definì grande educatore italiano, prete che insegnava a restare persone aperte alla realtà. Nessun prelato mai aveva fin’ora avuto il coraggio di presentarlo in questo modo. Nel 1947 sacerdote da apprendistato fu inviato a Calenzano, periferia di Firenze, dove iniziò subito con una scuola popolare per operai. Una scelta che dava fastidio a molti borghesi benpensanti, così venne trasferito a Barbiana, una specie di Rio Bo, 85 anime. Ma la sua fede appassionata per la scolarizzazione degli ultimi non conobbe ostacoli. Relegato in esilio fra operai, contadini, casalinghe, vedove, muratori, disoccupati nel 1958 scrisse traducendolo dalla vita vissuta il suo primo libro ”Esperienze pastorali”. Il Vaticano, attraverso il dicastero Santo Ufficio lo ritirò per le ardite e pericolose novità. Lo definì inopportuno e impose il divieto di ristampa, di traduzione, di diffusione. Contro le disuguaglianze di cui sono vittime don Milani vuole trasmettere agli umili e agli emarginati: ”chiamo uomo chi è padrone della sua lingua, la parola è quella che ci rende uguali…i ricchi comandano perché sanno più parole dei poveri”. Nella scuola di Barbiana chi sapeva di più doveva aiutare chi sapeva di meno. Scrisse più tardi anche un secondo libro, sempre vissuto e tratto dalla realtà: ”L’obbedienza non è più una virtù’.” Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono sovrani per cui l’obbedienza non è una virtù, ma la più sublime delle tentazioni e bisogna che si sentano ognuno la responsabilità di tutti. E di qui il diritto che anche i poveri possono e devono contrastare i ricchi. Subito, ma è storia di sempre, gli viene affibbiata la definizione di cattocomunista, denigratoria allorché si voleva colpire un prete scomodo. Viene in mente Helder  Camara (1909-1991) vescovo di Recife in Brasile che diceva: ”se io faccio la carità ai poveri sono un santo, se spiego ai poveri motivi della loro povertà e come uscirne allora sono un comunista.” Aumenta l’escalation, e don Milani viene processato per apologia di reato nei confronti della tradizione cattolica. Ma la sua fede e la sua passione per una scuola di tutti è troppo grande e così scrive un terzo libro ”Lettere ad una professoressa” che rappresenta un po’ il suo vangelo. ”I care”, che significa “tutto mi interessa”, in contrasto con il logo fascista del periodo precedente ”me ne frego”. Viene scritto insieme con i suoi otto ragazzi che si prefigurano cittadini di un mondo diverso e indicano i criteri per una riforma della scuola, attesa da sempre e mai avvenuta. Per fare scuola bisogna essere diversi, avere idee chiare e l’ansia di elevare i poveri. Nessun rancore verso la chiesa ricca di sfarzo e di vuoti riti cultuali che anche se non ha escluso i poveri però ha dormito. A che serve avere le mani pulite se si tengono sempre in tasca. Memorabile infine il messaggio che don Milani diede prima di morire. Negli ultimi giorni della sua malattia volle vicino a sé i suoi ragazzi perché imparassero anche che cos’è la morte. Ed ecco la svolta: quest’uomo definito prete ribelle, allontanato, espropriato di stupende esperienze pastorali, a distanza di pochi decenni dal Cardinale Bettori di Firenze si sente dire, già morto e strasepolto, che nei suoi confronti non c’è mai stato un decreto di condanna ma solo una comunicazione(!) del santo Ufficio. Molta gente puo’ chiedersi: e che ci vuole ancora il rogo per uccidere un profeta? Solo dopo mezzo secolo l’esperienza di questo educatore diventa un patrimonio del cattolicesimo italiano? E solo perché un Papa Francesco il 10 maggio 2014 si è premurato di rendergli giustizia? Quando la Chiesa imparerà a prendere sul serio le istanze presenti, e non attendere secoli, per poi magari brevettarsele come trofeo di sua conquista? Al di là di tutto la storia stessa si è incaricata di restituire a questo educatore il dovuto, anzi il centuplo. Oggi innumerevoli sono gli studenti, gli insegnanti, le istituzioni che si ispirano alla scuola di Barbiana, le biblioteche e le fondazioni dedicate a don Milani. Realtà tutte che intercettano le attese di un profondo e costante cambiamento della scuola italiana a favore dell’educazione dei giovani, del loro e del nostro futuro.

Autore:
Albino Michelin
25.06.2014

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