martedì 7 luglio 2015

MAFIA E RELATIVISMO DEI CATTOLICI

Martedì 21 Marzo 2006 si è svolta a Torino un'iniziativa dal significato altamente civico ed umanitario in ricordo delle vittime di mafia. Dal primo assassinato nel lontano 1893, 103 anni fa, l'ex sindaco di Palermo Emanuele Notarbartolo, alle stragi dei nostri giorni. 656 nomi inseriti in una giornata della memoria promossa da don Ciotti «prete contro», presidente dell'associazione antimafia denominata «Libera». Affrontando l'argomento da un punto di vista settoriale, cioè quello cattolico, non si può sorvolare l'obbiezione che ci viene mossa da più parti: «come è possibile che vittime e carnefici siedano sullo stesso banco di chiesa e preghino lo stesso Dio?». Certo, quello che colpisce è che in molti casi si tratta di cattolici pure questi, credenti e praticanti, non c'è simulazione. Gli esempi ci sono noti: da Nitto Santapaola che si era costruito una cappella perfino nel luogo di latitanza a Piero Aglieri che si faceva venire un frate per celebrare la messa e confessarsi. 
                                          Preti della mafia e preti dell’antimafia
Tentativo di spiegazione: forse non pregano lo stesso Dio, ma un Dio diverso. Questo perché nella cultura cattolica italiana il rapporto fra il singolo e Dio viene gestito non da un confronto con il Vangelo e la propria coscienza, ma da un mediatore culturale. Sì, perché ogni gruppo sociale esprime al suo interno un proprio mediatore. E così abbiamo sacerdoti della mafia e sacerdoti dell'antimafia. Abbiamo un P. Pugliesi che viene assassinato perché cerca di strappare i ragazzi di quartiere a un destino di mafia ed altri che convivono felici e beati con la cultura mafiosa o paramafiosa. Il prete o frate (mediatore con Dio) che il mafioso si sceglie è l'espressione della sua cultura o se vogliamo della sua anticultura e quindi si cerca un'adeguata legittimazione divina al suo comportamento. lo pure fui da un operatore pastorale in Sicilia consigliato di frequentare delle chiese alla domenica. Piene del popolo di mafia in cui il prete celebrante parlava di Dio con tono così celestiale da evitare ogni attrito, frizione, allusione con la malavita. Per cui tutta la morale resta imperniata sempre e solo su quella sessuale e sul dovere di obbedienza ai legittimi pastori di santa madre chiesa. Questo del resto è un fenomeno universale. Anche il dittatore cileno Pinochet per esempio credeva in Dio e si sentiva in pace perché appunto aveva un rapporto con Dio mediato dai vescovi che la pensavano come lui. Altri vescovi invece stanno dalla parte delle vittime da lui trucidate. Un esempio luminoso in materia ci viene da Oscar Romero, vescovo del San Salvador, ucciso nel 1980 attorno all'altare, perché difensore dei poveri. Il filosofo francese Sartre ha scritto che la morale consiste nello scegliere. «Noi siamo le nostre scelte». Purtroppo l'atteggiamento della Chiesa lungo i secoli, da parte di alcuni suoi ceti, è stato quello di non scegliere, consentendo così a ciascuno di farsi e avere il suo Dio, mediato da un certo tipo di preti, di vescovi, di prelati. E quindi abbiamo il dio dell’aristocrazia, dell’alta borghesia, della media, della piccola, il dio degli oppressori e il dio degli oppressi, il dio dei mafiosi e il dio degli antimafiosi. A ciascuno il suo dio con un vertice cattolico che in questo settore non sceglie quasi mai e in questo suo non scegliere alimenta una sorta di politeismo segreto e moderno che consente al dio degli assassini di convivere con quello degli assassinati.
                              Quando lo spazio dio-uomo viene sequestrato dal potere.
Il nodo fondamentale di tutto questo equivoco, chiamato relativismo smaccato, risiede nel rapporto fra chiesa e potere. Sono oltre 1700 anni, cioè dal 313 dopo Cristo, che esiste questo patto con il potere. Lo spazio fra Dio e l'uomo è stato spesso sequestrato dal potere e lo è anche oggi. Nella nostra fattispecie la mafia è potere di un'astuzia millenaria che consente a ciascuno di avere il suo Dio. Una forma di relativismo, di totale indifferenza morale che all'interno della chiesa ci consente di convivere con il delitto, la violenza, la sopraffazione. Conseguente il nostro ministro Lunari quando disse: «con la mafia si deve convivere». Recentemente tramite intercettazione telefonica si seppe che la moglie di un mafioso comunicava ad un'amica pari ruolo. «Se tuo marito si deve pentire, lo deve fare dinnanzi a Dio, non dinnanzi agli uomini. Il sentimento di colpa non si deve provare di fronte alle vittime ma solo di fronte a Dio». Ciò significa che qualcosa non ha funzionato o non funziona nell'ambito della chiesa cattolica, o meglio nella sua educazione. C'è palude, non c'è scelta netta. Tipico relativismo quello condannato da Papa Ratzinger allorché iniziò il suo pontificato. Tutto è niente, il valore di un comportamento dipende dal pragmatismo, cioè dal l'interesse materiale o di prestigio che ne ricaviamo. E' chi all'interno della chiesa fa silenzio sulla mafia, chi considera questo silenzio come una forma di obbedienza alla gerarchia, collabora a conservare questa ambiguità e questo relativismo. Il nostro è un Paese strano in cui chiunque critica la Chiesa cattolica, vedi nostro argomento, viene accusato di corrosivo anticlericalismo e viene professionalmente delegittimato. Sarebbe conforme al Vangelo e ad un sano cristianesimo che questa critica militante alla mafia, al relativismo mafioso, partisse dalle più alte sfere ecclesiastiche e scendesse giù fino all'ultimo pretino di periferia, fino all'ultima casalinga. Invece si ha un processo inverso con il rischio che i martiri vengano emarginati o tutt'al più compassionati. Pensiamo anche alla politica dei santi.  Beatificare uno che ha sostenuto la cultura fascista o dittature consimili e contemporaneamente un altro che si è battuto contro la stessa cultura non è solo un modo di far politica attraverso la religione, ma anche qui un relativismo che lascia perplessi.
                          Da un devozionalismo festaiolo ad una cultura antimafia
Chi di noi è credente ama la chiesa non perché obbligato, ma perché in essa vi ravvisa tra l'altro un'agenzia di formazione etica, morale, sociale, coerente e trasparente. La tentazione di diventare essa stessa un botteghino di borsa è grande come lo fu la tentazione per Gesù di trasformare le pietre in pane. La Chiesa italiana in genere, e quella campana-calabrese-siciliana in specie dovrebbe impegnarsi con priorità ad una propria rigenerazione anticamorra, antindrangheta, antimafia. Spostare di più l'asse verso questo progetto e non esaurirsi solo sul devozionalismo festaiolo. L'annuncio del Vangelo dovrebbe incominciare proprio da loro con la denuncia contro questa apparente «normalità», contro questo potere occulto che genera l'ingiustizia. Non si dimentichi che Gesù per le sue scelte chiare e precise ( ...guai a voi scribi farisei ipocriti...) è stato fatto fuori, democraticamente, dal potere. Ma solo cosi ha contribuito a cambiare le cose consegnando pure a noi il testimone per cambiare il mondo, piccolo o grande non importa, e la società che ci sta attorno.

Autore:
Albino Michelin
24.03.2006

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