domenica 12 luglio 2015

LA TRAGEDIA DI CEVO: DISABILE SCHIACCIATO DALLA CROCE DI PAPA WOJTYLA

Giovedì 24 aprile u.s. un gruppo di giovani guidato da un sacerdote era salito nelle alture di Cevo in Valcamonica per preparare una manifestazione con maxischermo in TV in occasione della santificazione dei due papi Giovanni XXIII e di Wojtyla che si celebrava la domenica seguente 27   in Piazza S Pietro a Roma. Mentre il gruppo sul far del mezzogiorno mangiava al sacco improvvisamente la croce sotto cui si erano riuniti incominciò a scricchiolare.  Si tratta di una croce benedetta nel 1998 da Papa Wojtyla nella stadio di Brescia, e trasferita lassù nel 2005. Al rumore sospetto tutti i ragazzi si misero a gridare e a fuggire. Uno solo, un portatore di handicap di 20 anni Marco Gusmini non ci riuscì. E cosi la croce, ricurva in atteggiamento di abbracciare il mondo, alta 30 metri, dal peso di 6 quintali gli piombò addosso e l’uccise all’istante. Strana coincidenza pure il fatto che egli abitasse nel suo paese in Via Giovanni XXIII. La domenica seguente al posto della grande manifestazione programmata per i pellegrini della zona, si dovette celebrare il funerale di una ragazzo innocente e pieno di fede. Subito sul Web è apparsa un’ondata di perché dai più ovvii ai più superstiziosi. Molti si sono affrettati ad interpretare la tragedia come profezia nera”…Se Dio esiste si vede che non era molto d’accordo con la santificazione di Wojtyla…E perché questi, che si dice abbia fatto due miracoli a due donne, non ha voluto o potuto evitare una tale tragedia nel giorno della sua gloriosa ascensione al cielo e all’onore degli altari? Egoista…” Tutti a cercare una regia occulta, che nel caso non ha nessuna spiegazione se non nella mancata manutenzione. La lettura magica della nostra storia si è spesso intrecciata con la fede religiosa. E l’incidente alimenta profezie improprie che si aggiungono a quelle nere del Medioevo e ad intermittenza a quelle recenti trasformando accadimenti di cronaca in presagi di sventura, o segnali della volontà e punizione divina, di interventi diabolici, miracolosi o mostruosi. Un virus, un hacker del passato, ma anche di oggi. L’interpretazione oscurantista ne ha sempre fatto motivo per le sue fantasie contagiose, soprattutto quelle legate alla croce, il simbolo più enigmatico dei cristiani, specialmente dei cattolici. All’inizio del 1500, alla vigilia della riforma protestante si vide apparire nel cielo una gigantesca croce, colore rosso sangue. Nel 1547alla vigilia del trionfo di Carlo V sui protestanti a Roma si vide una croce bianca sovrastata da un’aquila. Mentre nel paese di Lutero piovevano dal cielo croci di sangue. E in una notte del 1938 alla vigilia della seconda guerra mondiale comparve nel cielo del Norditalia una grande aurora boreale, ovviamene un fatto astronomico normale. Ma al di là delle differenze resta un minimo denominatore comune dell’inconscio collettivo: gli avvenimenti fuori misura, veri o falsi, vengono letti come profezie illustrate, come segnali in codice. E’ difficile per l’uomo darsi una spiegazione per ciò che resta inspiegabile. E allora si aggrappa su tutto, anche su per gli specchi e ai miracoli. Fatti però che per quanto inspiegabili restano sempre nella normalità. Tipo guarigioni da disturbi o malattie di causa neurologica o psicosomatica, ma mai anatomica. Se ne vedono tanti anche fra i guru dell’Asia, però mai si è visto una persona che vada in un santuario con una gamba e torni con due. La tragedia di Cevo, e per molti il mancato miracolo da parte di Dio o di Vojtyla, dice ai cattolici di abbandonare la concezione miracolistica della fede, la fede non ci garantisce una franchigia magica, non è un salvagente di protezione celeste. Dio ha dato alla natura le sue leggi, egli non le evade, da esse non pretende eccezioni. Strano sarebbe un mondo in cui Dio un giorno facesse sorgere il sole ad occidente e viceversa, oppure bloccare le reciproche relazioni degli atomi. Anche la scienza andrebbe in tilt e gli scienziati non si raccapezzerebbero più. Dio non è interventista. Costruire una città sotto un vulcano non giustifica ad accusare Dio di un terremoto o di una catastrofe che ne consegue. Chi si siede sopra un formicaio non può accusare Dio di avergli strapazzato il fondo schiena. Ma se la fede non ci protegge in frangenti come questi a che serve? Serve a mantenere la speranza, a trasformare le esperienze tragiche in solidarietà e in condivisione. A conoscere la natura, leggerla in profondità, scoprire le sue possibilità e la sua intelligenza.

Autore:
Albino Michelin
18.06.2014

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